Il futuro del vino italiano in Australia: marketing, consumatori e nuove sfide raccontate da Dario de Caro
Il vino italiano gode di un’ottima reputazione in Australia, ma spesso le cantine si scontrano con una realtà complessa: gli importatori gestiscono decine di etichette e non sempre riescono a dare la giusta visibilità a ciascun brand.
È qui che il lavoro di Dario de Caro, Head Sommelier in un ristorante italiano a Melbourne e Italian Wine Brand Ambassador, fa davvero la differenza. Con un approccio che unisce competenza tecnica, conoscenza del mercato locale e capacità di networking, Dario si propone di organizzare degustazioni, eventi e attività mirate, offrendo alle aziende italiane un presidio costante sul territorio e restituendo feedback preziosi direttamente dal mondo HoReCa.
Il suo obiettivo? Aiutare le cantine a vendere di più e meglio, grazie a una strategia di marketing e comunicazione che sappia parlare al consumatore australiano di oggi.
Dario ci racconti come sei arrivato a lavorare in Australia e quali esperienze formative e professionali ti hanno maggiormente preparato al tuo ruolo attuale di Head Sommelier e Brand Ambassador del vino italiano?
La mia prima esperienza come Sommelier è stata all'Enoteca del Centro di Bari, a cui sono molto legato e grato, dove abbiamo gestito una carta vini molto interessante.
L'arrivo in Australia è stato un passo successivo. Qui ho lavorato in un fine dining e ora come Head Sommelier in un ristorante italiano a Melbourne, dove continuo a imparare moltissimo sulla gestione dei numeri e sugli aspetti commerciali, spesso sottovalutati da un sommelier. Inoltre, come Brand Ambassador che vive e lavora sul territorio, sono pronto a fare da ponte tra una cantina italiana e il consumatore australiano.
A tuo avviso, quali sono le caratteristiche che rendono il consumatore australiano diverso da quello europeo in termini di curiosità, budget e attenzione ai brand?
Il consumatore australiano è più preparato del consumatore europeo. In Italia e in Europa tendiamo a bere locale e questo ci porta a conoscere diversi vini ma dello stesso territorio. L’Australia è più aperta. Durante il mio primo turno di lavoro a Melbourne, un cliente mi ha ordinato un Cesanese del Piglio. In 1 anno di lavoro come Sommelier a Bari, penso di non aver mai venduto una bottiglia del genere o che mi sia stata chiesta.
C’è un’area o una categoria di vini italiani che secondo te ha ancora un potenziale non espresso sul mercato australiano?
I vini rosa della Puglia e il Lambrusco. La Puglia è molto popolare e riconosciuta in Australia, è una destinazione turistica molto desiderata. Gli australiani bevono vino pugliese perché ricorda loro le vacanze.
Il Lambrusco è un vino con un grande potenziale. Lo trovi al calice in molti locali di Melbourne. Qui c’è la tradizione nel periodo natalizio di bere lo sparkling shiraz, motivo per cui il Lambrusco può avere un grande riscontro.
Quali limiti vedi nel modello tradizionale di importazione e distribuzione, e come un Brand Ambassador può colmare questo gap?
ll limite principale del modello tradizionale è la mancanza di un presidio sul territorio. Un importatore gestisce decine o centinaia di etichette e, per quanto bravo sia, non può dedicare a ogni cantina l'attenzione che merita. Questo crea un divario enorme tra il produttore e il consumatore finale. Un Brand Ambassador colma questo gap, può fornire un feedback onesto e diretto e assicura che il messaggio del brand arrivi al consumatore con la giusta narrazione.
Ho avuto l’occasione di conoscere produttori come Claudio Viberti e la brand ambassador di Villa Sandi, partecipare a wine dinner con l’export manager di Argiolas o Luigi Montisci. Quando c'è una persona legata all'azienda che conosce il prodotto, si crea un impatto diverso. La strategia è sempre la stessa: una degustazione o una cena con il Brand Ambassador crea fiducia e, di conseguenza, le vendite aumentano.
Nel tuo lavoro da Head Sommelier e Brand Ambassador, quali attività si sono rivelate più efficaci per far crescere la visibilità di un’etichetta italiana in Australia?
Una delle attività più efficaci è paragonare un vino italiano a un vino australiano e legarlo geograficamente a un territorio famoso. Per esempio, in lista ho una Corvina che mi diverto molto a vendere e che viene molto apprezzata. Invece di spiegarla in termini tecnici, la paragono a un vino locale e la collego a Verona. La mia prossima sfida è proporre il Nasco, una varietà sarda che sono convinto, il palato australiano apprezzerà.
Hai condiviso una riflessione molto incisiva: “Il problema non è l’alcol, ma il marketing. L’industria del vino è rimasta ferma, continua a usare strategie del passato e pensa che il prodotto si venda da solo”.
Secondo te, in che modo il mondo del vino dovrebbe innovarsi — a livello di comunicazione, marketing e posizionamento — per parlare meglio ai consumatori di oggi e non perdere terreno rispetto ad altre industrie che hanno saputo adattarsi?
Penso che le denominazioni, soprattutto le meno famose, siano più un ostacolo che un vantaggio, soprattutto per i nuovi consumatori. I produttori dovrebbero essere più liberi. Strumenti come il tappo a vite, le mezze bottiglie o il Bag in Box sono grandi opportunità per vendere in Australia. Purtroppo, alcuni disciplinari italiani sono molto restrittivi e non lo permettono.
Qui un brand molto popolare è "19 Crimes". Producono vini molto commerciali, ma su ogni etichetta c'è il volto di un criminale storico con la sua storia. Questo dimostra che il consumatore di oggi acquista storie e brand, non solo prodotti.
Guardando ai prossimi 5-10 anni, quali trend intravedi per il mercato del vino in Australia e quali opportunità si apriranno per le aziende italiane che sapranno investire nel modo giusto?
Intravedo il grosso potenziale del vino in lattina in Australia. Lo stile di vita che predilige le giornate passate fuori in spiaggia o in campeggio, si abbina perfettamente alla praticità della lattina, così come la sostenibilità ambientale e la possibilità di raggiungere un pubblico più giovane. Le aziende italiane che sapranno unire la loro qualità e la loro storia a un packaging moderno e pratico come la lattina avranno un vantaggio competitivo enorme.
Photo credit: Dario
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Salute e alla prossima!
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👋🏻 Ciao, sono Mihaela Cojocaru DipWSET | Autrice del libro "Metodo WINExcel" | Export Coach | Wine Broker | WSET Educator | Docente export & digital marketing c/o Italian Food Academy & Methodus Srl (Edotto) | Event Planner | Host “SoMe Wine” Podcast🎙️
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